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QUILICI ARCHEO-THRILLER DI PASSIONE

Di Antonio Spinosa

 

Curioso e straordinario giramondo come dev'essere un giornalista, Folco Quilici, è anche un meraviglioso narratore. Figlio d'arte. Un crudele destino non poteva portarlo a seguire le orme del padre, il giornalista Nello, come a vendicarne la tragica morte negli oscuri cieli libici in piena guerra fascista accanto a Italo Balbo, nello stesso aereo abbattuto chissà da quale contraerea, italiana o inglese. E' ora in uscita un suo nuovo romanzo, come a cercare sempre più ampi orizzonti, "Mare Rosso", Mondadori, pagg. 312 al prezzo di 16,80 Euro.
I suoi libri si richiamano l'un l'altro, e sempre affascinano il lettore. Spesso lo stupiscono. Leggete "Mare Rosso", e mi direte se ho ragione. L'incontro con Quilici per questa intervista è stato a sua volta come un fantastico viaggio. E ora, lettori, invito anche voi a superare ogni confine.

D.: Quilici, che cosa ti spinge a narrare l'avventura?

Mi sembra che in condizioni avventurose, in momenti di pericolo o di fronte alla violenza di uomini o della natura, i protagonisti e gli antagonisti d'una vicenda rivelano il meglio e o peggio di sé stessi.
Nel mio romanzo narro di due giovani archeologi sottomarini impegnati nella ricerca dei resti di una nave affondata a fine '800, si trovano improvvisamente alle prese con una banda di pirati dalle cattive intenzioni. Gente senza scrupoli che opera nel sud del Mar Rosso, convinta che gli archeosub siano alla ricerca di quella nave non per finalità scientifiche. Ma mirino al ritrovamento d'un favoloso tesoro.

D.: Pirati? Oggi?... non è una situazione ottocentesca?

No, il fenomeno della pirateria è sempre più diffuso in certe aree del mondo. Particolarmente dove le coste d'Arabia e Africa sono vicine, in quel tratto di mare che nel mio romanzo ho chiamato mare rosso per il sangue, la violenza che caratterizza gli scontri tra mercanti d'armi, droghe e chi tenta di rapinarli assaltandoli in mare.
La trama del libro è di pura fiction, ma lo sfondo delle azioni e dei colpi di scena è reale.
Questo d'altra parte è la caratteristica dei miei romanzi: non perdono mai di vista la realtà. L'intreccio è di fantasia, ma lo sfondo - anche quello scientifico - è sempre attendibile, documentato. Me lo impone la mia origine, se così posso definirla, di saggista; di scrittore di libri su quanto ho visto e vissuto in prima persona.

D.: Sullo sfondo di questo mare difficile e pericoloso qual è la vicenda da te narrata?

Per amore della scienza i protagonisti, gli archeologi subacquei Marco Arnei e Sarah Morasky, partono per le isole Dalhak, nell'estremo sud del Mar Rosso. Laggiù, dove la diplomazia delle grandi potenze occidentali si muove con cautela per non inimicarsi gli stati islamici che si affacciano su quelle acque. Anche per questo la Spedizione organizzata dai due testardi ricercatori deve muoversi con cautela, tra isole deserte e reef corallini. Un mondo insidioso nel quale gli archeosub sono alla ricerca del relitto dell'Elizabeth, un piroscafo inglese naufragato all'inizio del secolo scorso, mentre trasportava verso Londra opere d'arte indiane molto preziose.

È grande la sorpresa quando, durante le loro operazioni sottomarine, gli uomini immersi si trovano di fronte a qualcosa di molto diverso, un relitto d'acciaio, da tempo sul fondo, coperto da incrostazioni, quasi fosse in attesa di raccontare la sua storia, è un sommergibile. Di esso i protagonisti del romanzo intendono capire, anche a rischio della vita, come mai si trovi in quei fondali. A quale nazione appartiene? Perché nella storia ufficiale della Seconda guerra mondiale non ci sono tracce del suo affondamento? A bordo non ci sono resti umani, ci si chiede quindi dove sia finito l'equipaggio. Attorno a questa scoperta e al suo mistero si scatena l'avidità di molti. D'improvviso le isole deserte si rivelano animate da figure ambigue e minacciose, militari corrotti e ambiziosi, ribelli armati e spie, mercanti di schiavi e i pirati dei quali ho detto.
Muovendo questi personaggi ho costruito il mio thriller; tentando, tra l'altro, di riportare alla luce una pagina ignorata della nostra storia.
Sarà una sorpresa conoscerla, per i lettori del mio libro. E per ora non vorrei anticiparla.

D.: Bene. Ma i due archeologi di questo romanzo sono personaggi che abbiamo già conosciuto...

Sì, furono i protagonisti dei miei due precedenti romanzi, Alta Profondità e L'Abisso di Hatutu. Evidentemente il loro essere "eroi" senza volerlo essere, la loro determinazione nel raggiungere lo scopo che si prefiggono ma senza strafare, il sentirsi obbligati a rischiare pur di raggiungere lo scopo prefisso, insomma la loro umanità semplice, limpida, li ha resi simpatici ai lettori. E io mi sono, per così dire, affezionato a loro, ormai li conosco bene, sto bene in loro compagnia. Per questo, e per il successo che riscuotono nei lettori, non voglio perderli e li sto accompagnando d'avventura in avventura, di libro in libro. Sono già al lavoro sul quarto romanzo che li avrà come protagonisti, e mi sto appassionando a scriverlo. Anche se è difficile, molto difficile, trovare ancora una volta un giusto punto di fusione tra la parte immaginaria, letteraria, di una vicenda e il back-ground scientifico, storico.

D.: Da cosa nasce, in te, la scelta del tema archeologico-avventuroso, la scelta di personaggi allo stesso tempo scienziati ed esperti esploratori del mondo sottomarino?

Nasce dai lunghi periodi che ho vissuto assieme a archeologi subacquei che rischiando la vita sono diventati famosi. Come l'israeliano Elisha Linder, l'inglese Mensun Bound e altri, francesi e americani. Per fotografare e filmare le loro straordinarie ricerche dal 1986 a oggi, sono stato sott'acqua con loro in mari vicini e lontani, in molte spedizioni scientifiche. E ho con loro condiviso il pericolo dell'alta profondità e l'emozione delle scoperte. Il tutto amalgamato dalle cognizioni che avevo assorbito dal maggiore dei nostri archeologi, Sabatino Moscati. Quanto lui mi ha insegnato, è stata la spinta, che mi ha concesso di immaginare e narrare sempre ancorandomi alla realtà.

D.: Anche io ho commoventi ricordi di Moscati. Ma a questo punto non puoi non rivelare quale è stato il momento più emozionante di "Mare Rosso".

In un romanzo debbono essercene più d'uno... comunque risponderò alla domanda citando il momento in cui al Campo archeologico di Marco e Sarah sbarcano i pirati delle Fárasan. Chi li guida si presenta come un bandito-gentiluomo, un "selvaggio" che ha studiato a Londra, una sorta di Robin Hood che ruba ai ricchi per dare ai poveri. E invece...

D.: E invece?

 


Antonio Spinosa