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Folco Quilici
Filmografia
 

 

"AQUA"
26 ottobre 2004

UN RITO DI PESCA

(Sicilia)

Questa "memoria marina", si potrebbe banalmente intitolare "Solo ieri la tonnara esisteva ancora". Oppure, in forma più avventurosa: "Una grande paura".

Infatti la peggiore della mia vita non l'ho vissuta sullo sfondo di mari lontani, ma di casa; e per protagonisti non squali o capodogli, ma i tonni. Quelli chiusi nelle reti di quella che fu l'ultima grande tonnara del Mediterraneo, a Favignana. Ove mi sono più volte immerso, tra il '60 e il '70, all'interno di quella ragnatela subacquea creata nella prima età del Mediterraneo.

Quando la tonnara era ancora "vera", il raìs pregava ogni mattina davanti a un croce di foglie di palma intrecciate che galleggiava sull'acqua. E così cancellava l'incertezza della pesca, permetteva di credere in un cosmo ordinato dove dal padrone al pescatore, dalle rocce della montagna a quelle nel fondo del mare, tutto avrebbe contribuito al ripetersi ancora una volta dell'evento tanto atteso: la buona stagione di pesca.

Subito dopo il lavoro collettivo aveva inizio. Commentato da un coro cantato da tutti i tonnaroti, che lodava una certa "Lina". Ovvero la rete appena calata a mare, viene cantata come "signorina ancora vergine". Quando la rete sarà poi salpata, con i tonni al suo interno, Lina non sarò più illibata; ma sverginata e trattata dal coro come una puttana rimasta incinta.

"Lina", la rete, vergine al momento di entrare in acqua, ingravidata dallo stupro collettivo dei tonni, era vista come ventre fecondo. E i tonni, di quel ventre, sarebbero stati allo stesso tempo violentatori e figli da partorire.

Antonio da Padova, protettore delle spose (a lui le mogli che non riescono a far figli chiedono la grazia di rimanere incinte) era ed è "il santo delle tonnare", a lui i tonnaroti chiedono la grazia, identica a quella delle spose. Se la grazia non è concessa, il Santo viene minacciato (a Favignana vidi un gruppo di pescatori gettare in acqua una statuetta di Antonio, con rabbia e ostentato disprezzo; per poi ripescarla non appena il primo gruppo di tonni era entrato nelle reti).

Quando questo accadeva, le operazioni per la cattura scattavano regolate dal ritmo di un altro canto, la scialoma. I tonnaroti lo intonavano come saluto appena le prede entravano in trappola; (la parola è araba d'origine: scialòm, salaam: ovvero "benvenuto").

 

Insistetti molto, per ottenere dal raìs il permesso eccezionale d'immergermi nella "camera della morte" per assistere alla fase finale d'una tonnara, la mattanza. E quando mi disse "Puoi farlo..." mi son gettato senza indugio nel quadrilatero di reti ove i tonni sarebbero stati colpiti e tratti a bordo.

Scesi tra loro quando il furioso clamore della mattanza non s'era ancora scatenato. Fuor d'acqua e sotto, tra le reti sospese fra fondo e superficie si sommava il silenzio degli uomini e il silenzio del mondo sottomarino; un vuoto sonoro dilatato nella prospettiva della ondeggiante architettura delle pareti di maglia intrecciata. Enormi e bluastri, i tonni prigionieri mi giravano attorno mentre risaliva dal fondo la rete. La trappola.

D'un tratto, il branco sembrò aver cognizione della sua fine. Il suo maestoso incedere si mutò in confuso guizzare in ogni direzione. Ogni tonno divenne siluro sfrecciante, di sei, settecento chili.

Negli interminabili minuti che precedevano la mattanza, la rete mobile arrivando a poca distanza dalla superficie, costringeva i tonni a guizzare a pelo d'acqua. I tonnaroti si sporgevano dalle barche pronti a colpire, attendendo il comando del raìs. Al suo urlo il mare in pochi istanti era subito rosso di sangue; gli arpioni tiravano in barca i tonni sfruttando lo slancio verso la salvezza che agitava spasmodicamente le loro code.

La mattanza: caos di urla, sangue, fischi, spuma, ordini. Lungo momento crudele.

 

Oggi, lo sappiamo, la "raccolta" è insufficiente a garantire la sopravvivenza d'una tonnara e della sua gente. Ma a spiegare la sua crisi non è questo. Un raìs dei più anziani e più bravi (in pensione, a Trapani), mi ha detto: "Nessuno, in Sicilia, vuol più fare il tonnaroto. Se fossi giovane non troverei compagnia per metter su una tonnara neanche se in mare di tonni ce ne fossero migliaia e migliaia. Oggi non interessa questo mestiere. Oggi fatica e rischio per quattro soldi non attirano nemmeno i più poveri".

Folco Quilici